Un Osservatorio-organismo di garanzia sulla correttezza e l’imparzialità della comunicazione istituzionale (dal governo alla magistratura, dalla polizia giudiziaria agli enti locali ecc.) per frenare le suggestioni alla discrezionalità e all’arbitrio delle fonti di informazione ufficiali. La proposta avanzata dal presidente del Sindacato cronisti romani, Romano Bartoloni, ha incontrato la sensibile attenzione del Presidente della Repubblica (nel corso dell’udienza per la presentazione dell’Agenda del cronista 2001) e della Corte costituzionale (nel saluto alla conferenza-stampa del presidente Cesare Ruperto). E ha ottenuto, nel corso di un colloquio, l’interessamento di Enzo Cheli, presidente dell’Autorità per le garanzie nella comunicazione. Il quale -come si legge in un comunicato dell’Autority- “ha assicurato che, attraverso opportune iniziative, le questioni poste saranno oggetto di attenta considerazione nel quadro delle competenze che la legge affida all’Autorità”. Anche il garante per la privacy, Stefano Rodotà, ha manifestato interesse con un messaggio, raccogliendo “la sollecitazione dei cronisti e assicurando piena attenzione alle dinamiche secondo le quali si svilupperanno i rapporti tra la stampa e gli uffici per le relazioni esterne delle questure”.
I poteri hanno le responsabilità maggiori non solo nei rapporti in presa diretta con l’opinione pubblica (Prima Porta e le altre trasmissioni tv e, da qualche tempo, le strade di internet), ma anche nel regolare i tasti della regìa della comunicazione istituzionale che, esercitando una delicata funzione pubblica, dovrebbe rispettare i sacrosanti principi della neutralità e della trasparenza. A volte, si scambiano la prudenza e la cautela con la reticenza, con la riluttanza e con l’abuso dei segreti: cioè, si nascondono le notizie che, quando vengono comunque a galla, provocano maggiori devastazioni come è successo per la sindrome dei Balcani e, più di recente, per il caso Telekom-Serbia. Altre volte, la ricerca del consenso, la cultura dell’immagine e i riti del prestigio producono l’enfatizzazione degli eventi, un tempo terreno esclusivo dei giornalisti nel bene e nel male: cioè, si montano le notizie per ottenere maggiore eco nei mass-media a dispetto della verità e persino della decenza. Nell’uno e nell’altro caso, si rende un cattivo servizio ai cittadini e si mette a dura prova il senso di responsabilità e l’autonomia di giudizio del giornalista.
La tendenza in atto porta a scimmiottare il peggio o il meglio (a seconda dei punti di vista) del linguaggio e dello stile di immediatezza del giornalismo e soprattutto della pubblicità. Si assiste ad un abnorme ricorso a slogan, a luoghi comuni alla Grande Fratello, a metafore sportive di bassa lega. Prevale un uso cinico e strumentale della moderna potenza della comunicazione ad evidenti scopi di persuasione occulta. Ormai, in ogni settore della vita pubblica, alle ambizioni di emergere e di conquistare la ribalta si sacrificano le ragioni della verità e della correttezza dell’informazione, si mistificano le logiche dei fatti con i mondi immaginifici dell’effimero e del virtuale.
Quando un presidente del Consiglio promette la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, ci sono mille modi per verificare le sue intenzioni attraverso interviste a tecnici e politici di ogni colore e di ogni latitudine. Quando il magistrato e il poliziotto teorizzano sulle megacombutte internazionali di migliaia di pedofili, sugli assalti a mano armata dentro le mura domestiche e intorno ai serial killer; oppure costruiscono castelli di sabbia su piste anarchiche o eredità br a proposito della bomba al Duomo di Milano; o ancora inventano la bufala della talpa brigatista nel delitto D’Antona; quando il governo è reticente sulla sindrome dei Balcani o sul caso Telekom-Serbia; non esiste alcuna possibilità per il cronista di controllare, come di dovere, l’esattezza e l’attendibilità delle notizie cosiddette ufficiali, semmai si profila il rischio che, quando il tribunale stabilirà la verità dei fatti, fiocchino le querele, amplificando gli effetti intmidatori sulla libertà di stampa.
Quante volte si costruiscono macroscopiche operazioni di polizia giudiziaria che, poi, per mancanza di prove certe, si sgonfiano nel nulla di fatto. Peraltro, con la futura legge sul giusto processo si dovrà rispettare finalmente il codice di procedura penale che stabilisce che le prove si determinano in tribunale. E i cronisti, anche se dubitano delle notizie montate su labili indizi o peggio ancora su teoremi, sono costretti a pubblicarle su pressione degli editori e dei direttori che inseguono le ragioni degli interessi, costi quello che costi e in barba alla qualità del prodotto.
I pericoli sempre più consistenti della contraffazione delle notizie si coniugano con le vecchie tendenze antitrasparenza a imporre, ovunque sia possibile, il segreto di Stato, il segreto delle indagini, il segreto d’ufficio (quasi sempre segreti di Pulcinella anacronistici e arbitrari), nonostante aperte contestazioni siano state fatte da autorevoli personalità (su tutte il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Conso), e nonostante la caduta di tanti feticci (caso Ustica).
Per tutte queste ragioni, i cronisti sono entrati in conflitto con gli uffici stampa delle questure che dovrebbero fare il paio con quelle da anni in pectore delle Procure. La recente assemblea dei cronisti di nera dei quotidiani delle radiotv pubbliche e private ha espresso, in base all’esperienza quotidiana, forti dubbi e riserve sulle garanzie di correttezza, imparzialità, obiettività e tempestività di un un’informazione filtrata attraverso le burocrazie degli uffici stampa delle questure. Si farebbe un cattivo servizio all’opinione pubblica e si pregiudicherebbero fondamentali diritti civili dei cittadini, se si lasciasse regolare i rubinetti dell’informazione da fonti di incontrollabile affidabilità e impermeabili alla trasparenza. Oltrettutto, si esporrebbero i cronisti al tambureggiante fenomeno delle cause per risarcimento danni, con ripercussioni immaginabili sulla serenità e sull’equilibro del lavoro giornalistico.