Il CSM ci ha risposto notificando l’archiviazione al 31 marzo us dell’ennesimo nostro appello/protesta contro le intimidazioni di certe Procure nei confronti dei cronisti, perché ritenuto come “censura di attività giurisdizionali”. Sentenza sorprendente perché la spada di Damocle della censura pesa semmai sul lavoro dei cronisti. Dietro gli attacchi con armi pesanti (perquisizioni persino nelle case di vacanza, fermi di polizia, snervanti interrogatori, sequestro di taccuini, cd, archivi, telefonini ecc.), dietro la pretesa della violazione dell’ex segreto istruttorio, si nascondono ben altri intenti che nulla hanno da vedere con la tutela delle indagini e dell’indagato. In realtà, si vuole scoraggiare il cronista a fare il suo mestiere di cacciatore di notizie; costringerlo a svelare le sue fonti confidenziali di informazione, facendolo rinunciare, con le buone o con le cattive, alla copertura del segreto professionale garantito dalla legge e dalla convenzione europea. Il fine ultimo è quello di spezzare i fili del rapporto fiduciario con le fonti e di regolare il rubinetto dell’informazione ad arbitrio mediante la censura, le veline, il bavaglio, la minculpop. Della nostra amarezza e sorpresa per la sentenza CSM ne è interprete presso il Capo dello Stato il presidente dell’UNCI, Guido Columba, nel corso dell’udienza del 27 aprile per i vincitori del Premio del cronista. Di certo, l’atteggiamento censorio non rientra nel nostro costume specie nei confronti della magistratura della quale riconosciamo e rispettiamo l’assoluta autonomia e alla quale chiediamo di riconoscere e rispettare la nostra.