La libertà di stampa, l’informazione senza peli sulla lingua, il diritto di critica non sono un patrimonio esclusivo degli addetti ai lavori, i giornalisti e i cronisti, ma un valore di tutta la comunità, di ogni singolo uomo della strada. Ogni attentato, ogni rinuncia, ogni compromesso costituiscono un passo indietro per la democrazia e per la libera circolazione delle idee. Le classifiche internazionali non ci premiano perché in troppi vogliono mettere i bastoni fra le ruote della stampa o, comunque, controllarne la voce. Da anni i cronisti si battono in difesa della libertà di stampa senza aggettivi e senza giri di parole, e ha promosso e promuove campagne di resistenza per contrastare gli attacchi a un principio fondamentale tutelato dalla Costituzione. Attacchi che, a volte, e come è successo anche di recente, indossano persino i panni dei progetti legislativi. Fra gli altri, per citarne i più clamorosi, la riforma della legge sulla diffamazione con i suoi contenuti intimidatori (o carcere o interdizione dalla professione o supersanzioni) verso la ricerca della verità; la riforma del Codice militare che prevede il carcere per i giornalisti che rivelino presunti segreti anche nelle missioni di pace; le interpretazioni restrittive e censorie della legge sulla privacy da parte delle amministrazioni pubbliche; la riforma dell’ordinamento della giustizia con norme liberticide che hanno l’effetto di omologare l’informazione dei palazzi di Giustizia; il ddl sulle intercettazioni e sulla pubblicità degli atti delle indagini giudiziarie anche laddove (udite! udite!) non sussista più il segreto. Mediante questo puzzle si costruisce il muro censorio, si regola ad arbitrio il rubinetto delle notizie, si deforma la realtà quotidiana. E con queste vecchie e nuove reti di divieti, di reticenze, di segreti, spesso di Pulcinella, che i giornalisti, i cronisti debbono fare i conti. Si fanno forza con due armi, le armi della legge e del dovere professionale. Il dovere di guardare da vicino, a immagine ingrandita, come funzionano la nostra società, lo Stato, i controlli, le autorità e le ramificazioni dei poteri. Il dovere che nasce dalla consapevolezza che soltanto regole, legalità e trasparenza possono garantire un ordinato vivere civile. In una Nazione dove non esistono gli editori, dove si vende lo stesso numero di quotidiani del 1938 (sei milioni), dove il peso degli eventi è regolato dagli umori delle tv e condizionato dalle forze del marketing, della pubblicità e dello spettacolo, e dove i poteri economici e politici fanno il bello e cattivo tempo nell’universo della comunicazione, quanto contano ancora la realtà dei fatti, la qualità e la credibilità della notizia e la voce dei cani da guardia della democrazia? Di sicure, le veline, i comunicati e le conferenze-stampa spot non cambieranno il mondo in meglio. Oggi come ieri e come domani, la solidità di un sistema democratico si misura con la coscienza critica di una società capace di mettersi continuamente in discussione.