Intervento di Fabio Morabito al congresso dell’Unci a Firenze
Sono due temi sui quali credo il Congresso si debba confrontare. Il primo è il ruolo dell’Unione cronisti, il secondo sono gli spazi in cui la professione è sotto attacco, e come tutelarci. Mi piace muovermi nella traccia che viene data dal titolo del Congresso, e questa volta il titolo ? bellissimo. “Liberi di sapere, liberi di informare”. Uno slogan di sei-sette anni fa, nato all’epoca della mobilitazione sindacale contro il ddl Alfano sulle intercettazioni. Sono tre parole: sapere, informare e liberi – questa parola detta due volte. Sapere era riferita ai cittadini, ma a me piace pensarla riferita ai giornalisti. Di che cosa si informa gli altri se noi stessi non sappiamo? E’ il nodo dell’accesso alle fonti, della trasparenza. In un contesto che è cambiato, rivoluzionato rispetto a solo pochi anni fa. E’ cambiato tutto, ma non la necessità in un Paese democratico ad avere un’informazione corretta.
Sul ruolo dell’Unione cronisti non si può che partire da una constatazione dura. Il sindacato dei cronisti è in crisi. Ma è in crisi anche la Fnsi, ed è in crisi il sindacato in generale. L’Unci è in difficoltà su tutto. C’è da chiedersi: è in difficoltà anche rispetto alla sua identità e il suo ruolo? Il ruolo – in quella parte che era il tramite con le istituzioni – ? cambiato radicalmente rispetto a un passato dove gli enti locali non avevano uffici stampa e giornalisti al loro interno. L’Unci è poi un gruppo di specializzazione dentro la Fnsi. E non c’è compito dell’Unione cronisti che non sia già un compito delle Associazioni di stampa. Forse che la mobilitazione contro le leggi-bavaglio non debba essere un impegno anche della Federazione della stampa? Per? anche se in un ruolo complementare, proprio perché Fnsi e Associazioni di stampa sono in affanno, la voce del sindacato cronisti può avere ancora un senso. Per dare un contributo di idee, una voce di supporto, una presenza attorno agli ostacoli che si moltiplicano minacciando il dovere d’informare. E’ su questa traccia che dobbiamo tutti lavorare, con umiltà. Con un linguaggio nuovo, che sia problematico, attento alle ragioni di tutti, e non arroccato a difendere i giornalisti a prescindere.
Sulla diffamazione, ed ecco il tema di forte discussione di questi tempi, dico chiaramente che sono contrario alla depenalizzazione. Il giornalista non deve essere privilegiato rispetto ai cittadini comuni, e la diffusione “a mezzo stampa” (forma antica, ma che rende l’idea) ? giusto che sia un’aggravante. Ma il carcere ai giornalisti deve avere dei limiti di logica e buon senso, altrimenti si creano dei martiri oppure delle ingiustizie. Ma come si può ragionare di omesso controllo per un direttore come quello di Epolis, quotidiano uscito in tante edizioni, e minacciarlo di arresto? Omesso controllo su trecento pagine? Ma la legge che si sta discutendo ora in Parlamento controbilancia la cancellazione del carcere per i giornalisti – minaccia che nell’et? repubblicana si è concretizzata solo un paio di volte – con norme peggiori della legge precedente. Ecco, in questo senso, nella punizione astratta che si concretizza per cumulo di condanne, è giusto disinnescare la minaccia del carcere. Ma il cronista non è spaventato dal carcere, bensì dalle cosiddette cause temerarie, che si possono intentare anche sul nulla. Non c’è, come ci dovrebbe essere, una norma che scoraggi richieste milionarie costruite per intimidire. Oso dire: questa è quasi una forma di terrorismo, è la potenza finanziaria contro il povero cronista. Che è giusto che sia punito quando è evidente che la cronaca diffamante è frutto di dolo, o di colpa grave.
Da giornalisti, se parliamo di qualcuno dobbiamo immaginarlo seduto nella scrivania accanto. Non siamo esentati dalle responsabilità, ne abbiamo più di tutti. Ma il nostro lavoro deve essere giudicato anche per le condizioni in cui viene fatto. E le tutele che il sindacato deve proporre non sono solo di legge, ma anche nel contratto. Un sistema di tutele complesso, che alla fine difende il cittadino. E che chiede è ora molto più di prima è un’attenzione vigile e costante che può esserci solo da chi la professione la vive ancora in prima linea.
FB
14/05/15