L’informazione e la violenza di genere: attenti alle parole da non usare. Un linguaggio rispettoso e consapevole, che faccia piazza pulita di luoghi comuni, pregiudizi e stereotipi maschilisti e patriarcali, può diventare un fondamentale strumento di crescita civile e dare un contributo alla battaglia contro i femminicidi. È con questo obiettivo che le due maggiori organizzazioni di cronisti – il Sindacato cronisti romani (Scr) e il Gruppo cronisti lombardi (Gcl) – annunciano l’adesione alla Giornata internazionale contro la violenza sulla donna del 25 novembre 2023 e lanciano un video- decalogo contenente alcune delle principali espressioni da bandire nei resoconti giornalistici su femminicidi, stupri, molestie e ogni altro genere di soprusi. Lo si può scaricare al link: https://bit.ly/3Gf59Ps
Il decalogo – che si pone in linea con il Manifesto di Venezia, varato nel 2017, su come raccontare la violenza di genere – contiene le espressioni usate con maggiore frequenza da stampa ed emittenti radio-radiotelevisive, che di fatto forniscono alibi o indiretta giustificazione all’autore di un femminicidio. Si va da “in preda a un raptus” (locuzione fuorviante, in quanto esclude la premeditazione) ad “amore criminale” (chi uccide non ama), da espressioni similari come “delitto passionale” e “accecato dalla gelosia” (il piano sentimentale non deve diventare esimente), alle varie qualificazioni della vittima (“estroversa”, “vivace”, ecc.) e alle sue attività precedenti l’evento (“aveva bevuto”, “passeggiava da sola”, ecc.), spesso utilizzate in seguito dalla difesa a fini processuali, fino all’uso pleonastico degli aggettivi possessivi (“la sua fidanzata”, “sua moglie”, piuttosto che “la fidanzata”, “la moglie”).
“Un uso corretto, sobrio e rigoroso del linguaggio – dichiarano Fabrizio Peronaci e Fabrizio Cassinelli, presidenti del Sindacato cronisti romani e del Gruppo cronisti lombardi – può avere un ruolo decisivo per sradicare i residui della cultura maschilista che purtroppo ancora oggi, non di rado, influisce negativamente su una corretta narrazione dei fatti. L’invito è quello di aderire al decalogo e a implementarlo. Va da sé che ognuno di noi, nel racconto quotidiano di un femminicidio, conosce l’ampia gamma di termini offensivi o sottilmente insinuanti che violano la pari dignità di genere”.