di Romano Bartoloni
Il governo Conte ha avviato gli Stati generali dell’informazione e dell’editoria con l’intenzione di rianimare un settore in crisi sistemica, ma sotto sotto con la riserva mentale di fare le pulci ai giornalisti. Nel lanciare un percorso/programma semestrale di lavori e di confronti diviso in 5 macro aeree (informazione primaria, giornalisti e altri operatori del settore, editori, mercati, cittadini), annuncia con enfasi una “riforma a 360 gradi del sistema dell’informazione e dell’editoria”.
Una riforma così radicale e totalizzante investe inevitabilmente il ruolo, l’identità e la funzione costituzionale dell’informazione e dello stesso giornalista. Ne è consapevole il promotore, il sottosegretario all’editoria Vito Crimi che proclama, con l’alibi dei tempi di web, la fine della mediazione culturale del giornalista tra i cittadini e i fatti da esporre, scavare, spiegare, e da illustrarne cause, ragioni e responsabilità, assolvendo così a un essenziale servizio democratico. Questa la presa di posizione del sottosegretario: “Oggi ci sono nuove professioni, ci sono i social, ci sono nuovi strumenti di disintermediazione di cui bisogna prendere atto e sui quali bisogna riflettere per capire quale è il ruolo dell’editoria e dell’informazione professionale rispetto a quella disintermediata”. Un’asserzione di principio che spara alzo zero contro la libertà di stampa, e consacra il fai da te della comunicazione. Passo dopo passo la mediazione giornalistica sta venendo sistematicamente e scientemente scavalcata dai poteri ormai padroni, strateghi e dominatori della rete in filo diretto con il popolo dei navigatori e dei follower. Senza giornalisti fra i piedi e con la manipolazione delle notizie a proprio uso e consumo, i potenti controllano e distorcono fatti e misfatti, contribuendo al dilagare di fake news, bufale, pirateria informatica, hacker, di gossip e pettegolezzo di cortile, in barba ad anacronistiche autorità della comunicazione.
Contro “il deleterio principio della disintermediazione” si è schierato, fin dalle prime battute dell’incontro con il Governo, il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, sostenendo che “togliere di mezzo i corpi intermedi significa ridurre la democrazia a chiacchiere in rete. La democrazia presuppone informazione di qualità e lavoro di qualità”.
Cinque sono anche le fasi in cui si dipaneranno i lavori degli Stati generali con il proposito di concludere con disegni di legge in settembre. Per la prima volta, una riforma di tale portata culturale e sociale non usufruirà del contributo delle teste d’uovo, dei costituzionalisti, giuristi ed esperti di calibro, bensì, secondo la consuetudine del M5S, sarà affidata in aprile all’improvvisazione del dibattito pubblico della gente del web. Nella seconda fase (in maggio) sarà consultata la filiera del settore, dagli editori, i giornalisti fino ai social media manager. Dopo 2 giornate di dibattito in famiglia a Torino sulle proposte maturate, il Governo tirerà le somme con una sintesi di valutazione politica.
Così, nei prossimi mesi, si metteranno in gioco i caposaldi intellettuali e professionali del giornalismo con il rischio di macinarlo sotto la ruota di una dieta mediatica radicalmente cambiata. Tanti gli interrogativi da togliere il fiato. Sopravviverà l’Ordine dei giornalisti che non gode di particolari simpatie dentro il Palazzo? Come sarà garantito il pluralismo informativo senza più intervento pubblico? La vecchia rimaneggiata riforma dell’editoria con assegnazione di regole e responsabilità sarà gettata alle ortiche nel novero del libero quarantotto del digitale? Come sarà frenato il dilagante precariato e irrobustite le piattaforme del contratto di lavoro nel rispetto delle tutele sociali e giuridiche? Saranno, come sta accadendo, definitivamente ridimensionate le agenzie di stampa finora fonte primaria e autorevole dei mass-media? Continueranno con la mano pubblica i prepensionamenti a raffica così come chiedono ancora gli editori? Quali certezze per un futuro condiviso online/offline- rete/carta stampata con le edicole sempre più bazar e con un’opinione pubblica pilotata dentro i social? Come e quanta voglia c’è di contrastare il monopolio economico dei giganti del web, Google e bella compagnia, alla luce della recente direttiva del Parlamento europeo sul copyright online, che condanna le rapine dell’opera intellettuale, giornalistica in testa, e ribadisce il sacrosanto principio che il lavoro va pagato?
Se il buongiorno si vede dal mattino allora buonanotte!