Da operatori dell’informazione, troppo spesso costretti a raccontare ai lettori episodi di violenza, eclatante o sottile, nei confronti delle donne, dobbiamo porci il problema del linguaggio, erroneamente considerato marginale o irrilevante. Al contrario, le parole distillano cultura, e se pronunciate o scritte con superficialità alimentano approcci e visioni dei rapporti improntate alla patriarcale prevalenza del maschio, come rilevato dalla sorella di Giulia Cecchettin.
Ci troviamo di fronte a una sfida di civiltà, in nome della dignità e contro ogni discriminazione, non di poco conto: si tratta di eliminare dal proprio vocabolario e dal modo di pensare frasi fatte, luoghi comuni e stereotipi che sono stati stampati sui giornali fin dalla loro nascita. Le espressioni ‘raptus di follia’ o ‘delitto passionale’, come tante altre, portano tutte con sé un sapore vagamente assolutorio e a ben guardare finiscono per giustificare la prevaricazione degli uomini contro le donne. Per questo, il Sindacato cronisti romani, in collaborazione con il Gruppo cronisti lombardi, ha deciso di lanciare un decalogo, in linea con il meritorio lavoro dei colleghi che hanno realizzato il Manifesto di Venezia del 2017, autentica pietra miliare sul tema del linguaggio e della violenza di genere.
di Fabrizio Peronaci