APPELLO A CIAMPI: TROPPE LEGGI ANTICRONISTI

Per l’Unione nazionale cronisti italiani e per il Sindacato cronisti romani, il procuratore della Repubblica di Roma, Salvatore Vecchione, a forza di gridare al lupo contro la cronaca giudiziaria e a forza di invocare il silenzio stampa su casi clamorosi, come da ultimo sul delitto terrorista D’Antona, porta acqua al mulino delle leggi liberticide contro la stampa e l’informazione critica sui poteri. Mentre il governo promette solennemente e non mantiene nei fatti lo stralcio delle norme manette-bavaglio dal dispositivo della Camera sul giudice unico, in commissione giustizia a palazzo Madama sta andando avanti in questi giorni un altro ddl anticronisti di iniziativa di una cordata trasversale di 45 senatori (un sesto del Senato). Il disegno di legge rilancia le stesse misure liberticide della Camera a modifica dell’art. 684 del Codice penale (violazione del segreto delle indagini), peraltro appesantendone le pene rispetto a quelle proposte dai deputati per i cronisti: sei mesi di galera invece di 30 giorni. La modifica dell’articolo in questione non rappresenta l’unica forma di attentato all’esercizio del diritto-dovere di cronaca contenuta nel ddl 3457 sulla costituzione degli uffici stampa presso le procure della Repubblica. Comunicati, “interviste e immagini video fotografiche (art. 5)” preconfezionate dagli uffici giudiziari diventeranno il verbo e il nerbo di ogni notizia, perchÈ, secondo legislatori con la Costituzione sotto i tacchi, la parola delle Procure (nonostante le tante cantonate prese) ha forza di verità, obiettività‡, imparzialità‡ e asetticità‡. Il cronista, che non rispetta le veline o ne cambia sole le virgole, rischia con la pena del carcere anche la sospensione dall’Ordine professionale. L’Unione nazionale cronisti italiani e il Sindacato cronisti romani si appellano al Capo dello Stato, supremo garante della Costituzione, affinché faccia sentire la sua alta parola contraria ad ogni tentativo di legiferare sulla libertà‡ di stampa e di tradire la lettera e lo spirito dell’art. 21 della Carta della Repubblica

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