L’Unione nazionale cronisti italiani e il Sindacato cronisti romani condividono molto parzialmente la soddisfazione del segretario Fnsi, Serventi Longhi, riguardo alla decisione presa a palazzo Madama di stralciare le norme manette-bavaglio dal ddl inviato dalla Camera sul giudice unico. In commissione giustizia al Senato si assiste a un incredibile paradosso dal sapore di beffa. Con una mano i senatori-commissari cancellano le scelte liberticide dei deputati suscitando, peraltro, un vespaio di resistenze, con l’altra, fra la generale indifferenza, portano avanti un altro ddl anticronisti. Il disegno di legge, già discusso il 6 e il 20 maggio in commissione, rilancia, come Unci e Scr hanno già denunciato, le stesse misure illiberali introdotte dalla Camera a modifica dell’art. 684 del Codice penale (violazione del segreto delle indagini), peraltro appesantendone le pene rispetto a quelle proposte dai deputati per i cronisti: sei mesi di galera invece di 30 giorni. La modifica dell’articolo in questione non rappresenta l’unica forma di attentato all’esercizio del diritto-dovere di cronaca secondo le innovazioni proposte da 45 senatori nel ddl 3457 sulla costituzione degli uffici stampa presso le procure della Repubblica. Comunicati, “interviste e immagini videofotografiche (art. 5)” preconfenzionate dagli uffici giudiziari potrebbero diventare il nerbo di ogni notizia, perché, secondo legislatori con la Costiuzione sotto i tacchi, la parola delle Procure (nonostante le tante cantonate fino al caso Marta Russo), avrebbe forza di verità, obiettività, imparzialità e asetticità. Il cronista, che non rispetta le veline o ne cambia sole le virgole, rischia con la pena del carcere anche la sospensione dall’Ordine professionale.
L’Unione nazionale cronisti italiani e il Sindacato cronisti romani confidano che la Fnsi voglia dare forza e autorevolezza agli appelli rivolti nei giorni scorsi al Capo dello Stato, affinché Carlo Azeglio Ciampi faccia sentire la sua parola contraria ad ogni tentativo di legiferare sulla libertà di stampa e di tradire la lettera e lo spirito dell’art. 21 della Carta repubblicana.