GUERRA, LA RITIRATA DELL’INFORMAZIONE

C’ERA UNA VOLTA LA CRONACA DAL FRONTE
INTERNET SFIDA LA PROPAGANDA/I REPORTER ON-LINE DEL 2000

 Buio fitto sulle cronache di guerra dai fronti caldi, salvo qualche lampo di luce via internet. Non circolano notizie di prima mano nonostante sterminio e bombardamenti mettano in ginocchio intere popolazioni e angoscino il mondo civile. Per rompere la cortina delle nebbie, la Nato rivendica dai serbi sei ore di trasmissione radio-televisiva per dire la propria verità sulla crociata nei balcani, e passa dalle minacce ai fatti bersagliando e distruggendo studi televisivi, e seminando morte tra i giornalisti per stroncare gli “strumenti di propaganda, odio e disinformazione”. Per nulla intimidito, Milosevic reprime il dissenso interno e replica per le rime: e a noi bastano sei minuti di trasmissione in Occidente per sbugiardare i criminali aggressori al soldo del neo-nazista Clinton. Questo elegante scambio di vedute tra i Lor Signori della guerra la dice lunga sul pensiero unico e dominante nel campo della comunicazione. Si pretende disco verde per la verità ufficiale delle centrali politiche e militari, di fatto per il tamburo della propaganda, e non per la libertà di stampa senza pregiudiziali di segreti militari o di ragion di Stato, e non ancora per la libera circolazione dei giornalisti nei campi di battaglia. I fronti della guerra sono tabù per ogni testimonianza di cronaca, affinchè le coscienze dormano sonni tranquilli e i sensi di colpa non turbino l’opinione pubblica e non mettano in crisi i regimi dispotici o imbarazzino le democrazie. Chi osa ribellarsi alle regole della propaganda di guerra, viene eliminato come l’editore-giornalista serbo Slavko Curuvija o intimiditi e picchiati come Lucia Annunziata; chi non si accontenta dei comunicati della Nato e di versare lacrime di coccodrillo, è scoraggiato brutalmente o è abbandonato al proprio destino e ai rischi di avventure senza ritorno (in Kosovo ci sono morti e feriti tra i giornalisti).

Oggi molti valorosi colleghi sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi del gran vociare, a spremere fino in fondo le risorse della propria esperienza e della propria professionalità per strappare mezze-notizie e brandelli di verità ai grandi burattinai della guerra e ai loro tam-tam delle conferenze-stampa, e per raccogliere e interpretare il raccoglibile nelle retrovie della disfatta umana e degli esodi biblici, nei bivacchi dietro le quinte degli aeroporti, nei corridoi della Nato e dei minculpop di Belgrado, nel corso delle visite guidate nelle città bombardate, nei teatri delle sceneggiate organizzate sugli eccidi delle “bombe intelligenti”. In tempo di pace, la prevaricazione informatica dei monopoli e degli oligopoli del potere e la forza tecnologica della comunicazione autarchica e di regime soffocano, manipolano e virtualizzano la realtà dei fatti, in tempo di guerra la uccidono, la sporcano e la incarogniscono al canto dell’amor patrio. Dove sono finiti i reporter di guerra che, equipaggiati di tutto punto, condividevano la sorte e gli orrori dei combattenti, scrivendo memorabili pagine di cronaca anche in barba alla censura militare? Dove è finita la guerra in diretta del Vietnam che segnò la grande vittoria dell’informazione sull’oscurantismo dei falsi idoli di libertà? Perché Lerner non può orchestrare il suo Pinocchio nella centrale operativa dell’aeroporto di Aviano e Santoro far parlare il suo Moby Dick tra le truppe della polizia etnica nel Kosovo  e non solo sul ponte dei fantasmi belgradesi? Perché (altro interrogativo paradosso) non si ospitano giornalisti sugli aerei-spia della Nato e tra le truppe dei guerriglieri kosovari? Possibile che, anche ai nostri giorni, prevalgano il diktat del taci che il nemico ti ascolta, e le bombe sulle armi della parola e della comunicazione? Come è duro accettare che sia sempre la verità dei fatti la prima delle vittime della guerra?

 Per fortuna, non sembra tanto facile imbavagliare la voce di internet, irreggimentare quello sconfinato oceano della comunicazione dove navigano documenti, fotografie, chat-line, testimonianze e denunce di un popolo in balìa delle torture, delle deportazioni e anche delle bombe, impaurito ma sicuramente senza peli sulla lingua davanti ai computer, e che riescono, di nicchia in nicchia, a mettere a nudo il vero volto della guerra.

La comunicazione elettronica ha sostituito alla grande il filo artigianale dei radioamatori e ha scosso e rivoluzionato il limaccioso sistema delle fonti di informazione a senso unico. Intere redazioni radio-televisive e di grandi e piccoli giornali si sono trasformate in equipe di reporter on-line, riaprendo le porte e le finestre all’informazione colta dal vivo fra la gente a discapito delle inattenibili fonti ufficiali. Il governo (vedi ministro della giustizia) e persino Ordine e Fnsi vorrebbero mettere sotto tutela il mondo di internet inquadrandolo con le stesse arcaiche gabbie legislative (l’anticostituzionale e illiberale registro della stampa nato nel 1948, le briglie della legge sull’ordine, della 416 e finanche della Mammì e allegati, e in fondo la ciliegina di un contratto giornalistico regolato a misura del lavoro dipendente e non della libera professione). Nel far-west elettronico della comunicazione solo gli ingenui o i falsi ingenui (vedi Panorama) possono correre il rischio di rimanere ingannati. Proprio l’informazione senza gabbie e frontiere costituisce un’arma in più nella caccia alle notizie di prima mano, incoraggia e facilita per l’alta velocità della propagazione i controlli incrociati delle fonti, e si insinua come una spina nel fianco dei poteri che stanno cedendo alla suggestione e alla vanità di mettersi in vetrina senza veli.

In guerra e in pace, lo scontro sul controllo della comunicazione non conosce quartiere, né rispetta nessuno tantomeno l’opinione pubblica. Ormai il gioco è scoperto e non incanta neanche i bambini. Politici, magistrati, potentati economici e persino bottegai fanno a gara nel propagare, meglio propagandare, un’informazione se non falsa sicuramente tendeziosa. Con quale scopo? Per far carriera, per impallinare gli avversari, per condurre in porto affari a scapito della concorrenza, per inconfessate o inconfessabili ragioni di gelosia, rivalità, scandalismo e protagonismo. E i giornalisti e i cronisti? Guardiamoci una volta tanto in faccia. Oggi i cosiddetti operatori dell’informazione attaccano la penna e il computer laddove vuole il padrone e, quindi, volenti o nolenti, subìscono il ricatto della deregulation professionale ed occupazionale e si prestano al gioco anche a costo di fare la figura dell’utile idiota. Se, poi, tra noi c’è qualche grillo parlante, stai certo che ambisce a conquistarsi un posto al sole nel campo del potere. Altro che Gran Giurì per la lealtà e la correttezza dell’informazione e altro che Carta dei doveri al di là delle lodevoli intenzioni dell’Ordine e della Fnsi!. Queste aspirazioni sono destinate a restare lettera morta fintantochè saranno calpestate o ignorate da tutti gli altri attori del mondo dell’informazione, a cominciare dagli editori che si sono rifiutati di sottoscrivere le proposte dei giornalisti. Troppa gente si impiastra le mani con la marmellata della comunicazione. Sono i poteri pubblici e privati, e le loro fonti di informazione, che andrebbero disciplinati e inchiodati alle loro responsabilità contro le suggestioni alle manipolazioni, al conformismo, e al fai da te della comunicazione per liberarsi della scomoda interferenza della critica giornalistica. Quanto ci guadagnerebbero la professionalità e la qualità e la credibilità delle notizia, se finalmente si ponesse un freno all’esorbitante dilagare dei comunicati-veline e all’abuso di conferenze-stampa spot condite sole di chiacchere e di promesse ad uso e consumo dei burattinai della comunicazione e mai al servizio di fatti di autentico interesse pubblico.

Romano Bartoloni, presidente del Sindacato cronisti romani

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