Stampa romana, l'eredità di una storia lunga 140 anni
di Fabio Morabito
(scritto nel maggio 2017 in occasione dell'anniversario di 140 anni dell'Associazione stampa romana; nella foto, Franco Monaco)
Quando penso ai 140 anni di Stampa romana mi viene subito in mente che dalla metà esatta di questo lungo percorso, 70 anni, è socio Franco Monaco, classe 1915, il giornalista con maggiore anzianità di iscrizione al sindacato. Niente di speciale nella sua età, i centenari in Italia sono 17mila, ma sorprende che anche dopo aver varcato anagraficamente il secolo non abbia mai smesso di scrivere, di curare la sua agenzia “Italia Notizie”, distribuendola personalmente via fax.
L’idea che mi piace per Stampa romana, sindacato dei giornalisti del Lazio, e alla quale vorrei che l’Associazione riuscisse ad essere fedele, è proprio questa sua vocazione ad essere comunità, e perciò non solo riferimento sulle vertenze e sulle tutele strettamente legate alla professione. Un’identità che sappia quindi comprendere in sé – con un legame non solo formalmente solidale, ma coinvolto – il giornalista più esperto e magari pensionato accanto al nuovo arrivato. L’anziano collega come quello alle prime armi. Dove “le prime armi” non sono solo quelle aggiornate freneticamente dalla tecnologia, ma anche la curiosità, la passione, le scarpe consumate del giovane che si affaccia su una professione stravolta ma sempre necessaria alla crescita, alla libertà del Paese, perché non c’è democrazia se non c’è conoscenza e consapevolezza.
Ecco perché non è improprio – al contrario, utile – che Stampa romana curi la formazione. Ecco perché è necessario restare in prima fila sui temi della tutela dei diritti del giornalisti, che devono essere messi nelle migliori condizioni di fare il loro lavoro: e questo è strettamente connesso al riconoscimento di un compenso dignitoso. Ecco perché la collaborazione fra i dirigenti sindacali – con l’unica bussola degli interessi dei colleghi – deve prescindere da logiche di gruppo, di una qualche appartenenza diversa da quella della famiglia dei giornalisti. Più che mai la presenza di varie sensibilità va intesa non come elemento di divisione ma come risorsa. Perché il conformismo da anni avvelena il sindacato di categoria, che ha bisogno invece di idee, di dibattito, di confrontare le risposte possibili.
E poi, c’è la storia ultracentenaria di Stampa romana, che insegna un percorso. Che non è solo storia sindacale. L’Associazione nacque da un incontro tra i direttori delle tante testate che stavano nascendo nella Capitale, su presupposti legati alla deontologia oltre che all’autonomia e libertà della professione, e non c’era allora l’Ordine dei giornalisti. Si strutturò come sindacato nel tempo, ma ereditando un’autorevolezza che è un patrimonio vivo, non un reperto. E che aggiunge responsabilità e visione al ruolo di sindacato.
Che emozione ricordare che il primo presidente è stato Francesco De Sanctis, l’autore della Storia della letteratura italiana, allora illuminato ministro. Tra i suoi successori, personalità di spicco della politica ma anche giornalisti che hanno fatto la storia del nostro mestiere, come Luigi Salvatorelli e Alberto Bergamini, che inventò la “terza pagina” dei quotidiani, dedicata alla cultura.
Un passato glorioso che non deve intimidire, ma incoraggiare. Sono stato presidente dell’Associazione negli anni che hanno cambiato lo scenario della professione, dalla fine del 2007 alla fine del 2010. Il fronte delle vertenze è esploso nel 2009, con l’ondata degli stati di crisi strumentali a prepensionare un migliaio di colleghi nell’arco di pochi anni. Ma quella stagione intensa, anche piena di pagine difficili sul fronte della difesa della libertà d’informazione, in cui Stampa romana proponeva e organizzava, è stata caratterizzata da un lavoro collettivo a via della Torretta che ha portato molti frutti. Formando nuovi dirigenti sindacali, coinvolgendo i colleghi nel dibattito sui destini della professione ma – allo stesso tempo – cercando di dare il senso di comunità anche attraverso iniziative più leggere, perfino conviviali. Il punto di partenza di quell’esperienza è stato che, per una volta, le varie componenti sindacali hanno scelto di condividere responsabilità e ruoli. Lo viviamo anche in redazione: il miglior modo per lavorare bene è lavorare insieme.